LANCIO DEL TEMA
L’attività quaresimale può essere introdotta dal dialogo di Sam e Cris. Stavolta potrebbe essere riprodotto su un biglietto di invito per un momento di gioco in oratorio (vedi scheda Narrazione del tempo di Quaresima).
La mattinata di giochi si aprirà con una breve drammatizzazione nella quale un catechista, impersonando il figlio prodigo, racconterà la prima parte dell’episodio del Vangelo (Lc 15, 1-3. 11-32). Dopo la scenetta, i bambini divisi in squadre faranno dei minigiochi per rivivere le vicende del protagonista. Finiti i giochi la scena riprende per raccontare il ritorno a casa del figlio.
GIOCHI
APPROFONDIMENTO
Iniziamo la nostra catechesi riprendendo quanto fatto durante il lancio del tema, ricordiamo la storia, chiediamo ai bambini se c’è stato qualcosa che li ha colpiti maggiormente, e cosa avrebbero fatto se fossero stati al posto dei vari personaggi. Possiamo anche invitare i ragazzi a raccontarci se hanno vissuto in prima persona o se conoscono storie simili a quella del figlio prodigo. Cercheremo di fare emergere il senso profondo della conversione come un “ritornare sui propri passi”, una capacità di riconoscere di aver sbagliato e compiere gesti di riconciliazione. Soprattutto la capacità di lasciarsi abbracciare dalla misericordia di Dio che, come Padre amorevole, accoglie ogni nostro ritorno. Si può provare a scrivere insieme, a partire anche delle esperienze condivise dai ragazzi, un racconto che riporti ai nostri giorni una situazione simile a quella vissuta dai personaggi del Vangelo e a riproporlo attraverso una drammatizzazione (può essere un’attività interna al gruppo, ma anche volendo una rappresentazione quaresimale da presentare poi alle famiglie e alla comunità parrocchiale).
APPROFONDIMENTO CONTENUTI PER I CATECHISTI
Il concetto di “conversione”, infatti, nell’AT viene esplicitato dall’idea di “ritorno” (il verbo ebraico caratteristico è shuv, ritornare) a Dio, all’osservanza della sua legge, alla fedeltà culturale a lui soltanto. Nel NT il concetto è espresso in maniera diversa. Si parla di un ritornare a Dio, alla comunione con Lui infranta dal peccato e alla piena comunione con i fratelli, figli dell’unico Padre che tutti accoglie e tutti perdona. Ma questo passa per un’idea precisa, la metanoia (da meta-noein, cambiamento della mente/mentalità). Si tratta di lasciarsi trasformare dalla grazia di Dio, per guardare con i suoi stessi occhi alla nostra fragilità e al nostro peccato, e trovare nella forza del suo amore gratuito e misericordioso la capacità di vivere una vita da veri figli. Questo porta con sé il vedere in modo nuovo i fratelli, per accoglierli e perdonarli, entrando in un giro di misericordia donata e ricevuta che scaturisce dal dono gratuito di Dio e sempre si rifà all’esempio offerto nel Figlio Unigenito che non disdegna di stare in mezzo ai peccatori per portare loro l’amore salvifico del Padre.
Proprio su questo necessario cambio di mentalità, di modo di vedere se stessi in relazione a Dio e ai fratelli, si centra la parabola del figlio prodigo, che meglio andrebbe intitolata parabola del padre misericordioso o del padre e dei due fratelli (Lc 15,11-32). La parabola infatti è la terza e più estesa delle tre parabole cosiddette della “misericordia di Dio” che troviamo nel capitolo 15mo di Luca e che vengono introdotte da una chiara contestualizzazione che l’evangelista offre dell’insegnamento che Gesù vuole dare attraverso questi racconti: “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: …” (Lc 15,1-3: interessante notare che non si parla nell’introduzione dell’evangelista di tre parabole distinte, ma di una sola parabola, quasi tre rappresentazioni narrative diverse dell’unico grande insegnamento che il Signore vuole offrire attraverso quanto dice).
Il racconto dei due figli non si presenta come un insegnamento riguardo all’itinerario interiore di conversione inteso quale “ritorno” a Dio, come purtroppo spesso limitatamente viene letto e spiegato… Non è questo, e sicuramente non prima di tutto questo, che Gesù vuole richiamare nel suo insegnamento. Semmai questo potrebbe essere individuato nella parte iniziale centrata sulla figura del primo figlio, ma i figli sono due… e comunque è altro che viene sottolineato in tutto l’insieme della narrazione, dall’inizio alla fine. Il centro assoluto del racconto è il padre, attorno al quale ruotano le figure dei figli, ciascuno dei quali per la propria parte e a modo proprio, si manifestano come ingrati ed interessati, con la differenza che alla fine il figlio più piccolo, apparentemente il peggiore, si lascia trasformare dalla misericordia del padre, il figlio maggiore, apparentemente quello per bene, invece rimane fuori di quella misericordia, non accogliendola e di conseguenza non essendo capace di farsene donatore a propria volta.
Non a caso Luca all’inizio di tutta la narrazione indica che i farisei e gli scribi mormorano per il fatto che Gesù accoglie i peccatori e mangia con loro (proprio quello che farà il padre buono con il figlio più piccolo e apparentemente più disgraziato). Scribi e farisei non riescono a cogliere e ad accogliere la novità di Dio che viene rivelata in Gesù Cristo: la gratuità del suo amore che accoglie tutti e a tutti offre la gioia del suo perdono. Dio stesso non aspetta altro che di condividere la gioia del suo amore misericordioso, il che viene simboleggiato nel racconto dalla casa del padre: un luogo di accoglienza, di perdono, e per questo di gioia e di festa. Il figlio maggiore che alla fine resta fuori di quella casa simboleggia chiaramente i benpensanti e perbenisti che, invece di vivere un autentico cambiamento di mentalità entrando nei sentimenti di Dio e facendoli propri, rimangono fuori credendosi non bisognosi di conversione. Se fuori da quella porta non può esserci che tristezza e fallimento (come il figlio minore aveva duramente sperimentato), in quella casa tutto indica vita che si rinnova, vita vissuta in pienezza, nell’autentica relazione con Dio e con il prossimo: la veste bella data al figlio, segno della sua dignità filiale; i sandali, segno della sua libertà (gli schiavi andavano scalzi); l’anello segno della condivisione dei beni del padre (con l’anello i nobili siglavano gli accordi commerciali); il banchetto festoso, segno della ritrovata comunione che dà gioia piena e vera (non come quella passeggera e illusoria trovata dal figlio minore nel periodo della sua vita “mondana”).
La differenza tra lo stare dentro e lo stare fuori è nell’ascolto. All’inizio l’evangelista nota come i peccatori e i pubblicani andassero da Gesù per ascoltarlo (che poi è l’atteggiamento primo del discepolo…). Il figlio minore all’inizio rifiuta ogni dialogo con il padre, gli chiede l’eredità, come se il padre fosse morto… il padre senza nulla dire (a cosa sarebbe servito in quel momento?) fa quello che il figlio gli chiede. Quando il figlio decide di tornare al padre ha già bello e pronto un discorso con il quale intende imbonire il cuore del padre che – secondo la mentalità propria di una giustizia solamente umana – avrebbe ben potuto cacciarlo di casa. Ma quando si presenta al padre e inizia il discorso che si era preparato il padre non lo lascia terminare, non ha bisogno di ascoltarlo: il padre sta ascoltando solo il proprio cuore pieno di misericordia che non gli lascia scelta. Quel figlio è tornato e lui non può che accoglierlo pieno di gioia, la gioia di Dio per il peccatore pentito. E quella gioia si estende a tutti gli abitanti della casa. Il padre dice ai servi di ricolmare quel figlio di tutte le attenzioni possibili (il vestito, i calzari, l’anello…). Tutti devono essere partecipi di questa gioia del padre che è la gioia del perdono prima e ancor di più che la gioia del perdonato. Il figlio minore ascolta queste parole del padre: non parole di (giusta) condanna a lui ma parole di sorprendente misericordia rivolte agli altri, specificamente i servi, perché siano servi e strumenti della sua misericordia. Da parte sua invece il figlio maggiore che sente la musica e le danze, rimane fuori e non vuole ascoltare il padre che esce e lo supplica di entrare in casa.
Dall’ascolto della Parola di Dio inizia l’itinerario di vera conversione, che è accoglienza del dono di Dio dalla quale scaturisce la vera gioia, quella della comunione nella Chiesa, casa del perdono e della festa.
ALTRE ATTIVITA’ E GIOCHI
PREGARE INSIEME
Ci riallacciamo all’attività dell'“Angolo di Quaresima”, dopo aver aggiunto un nuovo simbolo concludiamo recitando tutti insieme una preghiera.
Se volete potete usare la preghiera riportata qui sotto, scritta appositamente per l’Oratorio.
Ti ringraziamo Padre Buono,
perché ci doni l’Oratorio,
una casa per tutti,
in cui con il gioco e la preghiera,
tutti possiamo crescere insieme,
alla scuola di Gesù tuo Figlio e nostro Maestro.
Qui troviamo sostegno nel momento del bisogno
e difesa quando sorge la paura.
Qui impariamo che la vita è un dono
ed è pienamente vissuta quando impariamo a donarci.
Qui sperimentiamo che la Chiesa è madre
che ci ama e ci tiene per mano.
Tu hai guidato i passi del nostro Oratorio
in questi anni fino ad oggi.
Tu guidaci ancora perché possiamo essere,
insieme e uniti dal tuo amore,
segno luminoso della tua vicinanza a tutti gli uomini,
a grandi e piccini che incontriamo nel nostro cammino.
Maria nostra madre ci sia sempre accanto.
Lei che il tuo Figlio ha dato come madre a Giovanni,
ci aiuti a cercare sempre il tuo volto,
ad amare sempre la tua parola,
a camminare sempre sotto l’azione del tuo Spirito
e ad esser sempre testimoni del tuo amore nel mondo.
Amen
Al termine del tempo liturgico, si potrebbe inoltre proporre una celebrazione penitenziale (per chi ha già ricevuto il sacramento del perdono) oppure una liturgia della Parola incentrata sul brano evangelico di riferimento.
Un segno potrà sottolineare la gioia profonda del perdono di Dio e l’impegno assunto dai ragazzi durante il cammino quaresimale vissuto in Oratorio. Ad esempio, a ciascun bambino al termine della celebrazione si potrebbe consegnare un palloncino, a simboleggiare la festa che Dio prepara per noi quando ritorniamo in comunione con Lui. I bambini sono poi invitati a portare a casa il palloncino e a consegnarlo a qualcuno con cui hanno avuto un contrasto, come segno della loro volontà di accoglienza e riconciliazione.
IMPEGNO
Impegno di gruppo: La Quaresima è il tempo di conversione e per questo abbiamo pensato che un buon punto da cui partire sia aiutare il prossimo. In questo tempo ognuno di noi si impegnerà a fare un atto di generosità verso coloro che ne hanno più bisogno.
Ad esempio si potrebbe riempire un salvadanaio con piccole rinunce durante tutta la Quaresima. Con il ricavato i bambini accompagnati dai catechisti potranno andare a fare la spesa e portarla nel centro caritas più vicino. Si possono anche far realizzare dei messaggi o disegni dai bambini per accompagnare il dono dei generi alimentari; possono essere raccolti anche vestiti o giochi…
Impegno personale: A un livello assolutamente più personale, ciascuno si impegnerà a chiedere scusa, quando si accorge di aver sbagliato. Non sempre è facile, non sempre è scontato: l’orgoglio, la timidezza, la paura del giudizio, possono impedirci di chiedere scusa anche quando riconosciamo il nostro errore.
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